federalismo europeo

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di Michele Ballerin

(MFE Emilia Romagna)

Un’analisi

Un’analisi del contesto economico europeo appare fin troppo facile e decisamente preoccupante. Abbiamo gli elementi per constatare che la crisi economica è tutt’altro che superata, e che, soprattutto, non c’è ragione di aspettarsi che i suoi effetti vadano scemando. Il dato più preoccupante è che non esistono presupposti solidi per una ripresa nel breve e medio termine, perché non ci sono prospettive di crescita per la produzione e l’occupazione. Il disagio sociale che affligge molti stati dell’Unione Europea non sembra quindi destinato a diminuire.

Non deve stupire la dichiarazione rilasciata dal presidente dell’INPS, alcuni mesi fa, sull’opportunità di mantenere uno stretto riserbo riguardo al calcolo delle pensioni future per i lavoratori italiani parasubordinati, la cui divulgazione potrebbe mettere a repentaglio la stabilità sociale. Non deve stupire, ma deve senza dubbio fare riflettere.

Un motivo particolare di allarme andrebbe visto nella distanza che è venuta creandosi con gli anni fra i cittadini e le istituzioni europee. Tale distanza – misurata con cadenza regolare dal costante decrescere della partecipazione al voto per l’elezione degli europarlamentari – minaccia oggi di approfondirsi fino a minare le fondamenta stesse del progetto europeo.

Il problema non nasce dal fatto che l’Unione Europea evita di intervenire nel campo delle politiche economiche, bensì dal fatto che sta intervenendo in una misura che in passato sarebbe stata inimmaginabile: lo fa imponendo agli stati membri economicamente più fragili politiche di austerità che essi non sono in grado di sopportare. I prossimi provvedimenti di carattere finanziario in paesi come l’Italia, la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna porteranno in dono a un ceto medio già stremato un aumento della pressione fiscale, una riduzione dei salari pubblici e tagli senza precedenti ai servizi fondamentali. Nessun analista può seriamente aspettarsi che il PIL di questi paesi si gioverà di un simile trattamento, il cui risultato più prevedibile sarà di deprimere ulteriormente i consumi, gli investimenti produttivi e le entrate fiscali.

Inoltre tali politiche, così decisive per il presente e il futuro dei cittadini europei, sono destinate a essere percepite come il frutto di meccanismi decisionali opachi e distanti, di negoziati condotti a porte chiuse al di fuori di ogni possibilità di controllo democratico, e nei quali è del resto palese, secondo una logica che nessun trattato prevede, il prevalere sistematico del punto di vista tedesco: percezione che corrisponde all’esatta natura delle circostanze.

Tutto questo sta già avvenendo e le sue conseguenze sono prevedibili: la percezione che i cittadini hanno dell’Unione evolverà in senso negativo e le istituzioni comunitarie, percepite negli ultimi tempi come sostanzialmente inutili, saranno viste come una minaccia per la prosperità e il futuro dei cittadini europei. Non è una prospettiva incoraggiante: perché quando una società matura la convinzione che determinate istituzioni non servono i suoi interessi, o addirittura li ledono, diventa insofferente, e il suo primo, comprensibile istinto è di scrollarsi di dosso un apparato di cui sente ormai solo il peso.

Ognuno può trarre le conseguenze che crede da un simile scenario. Ma i federalisti europei non dovrebbero avere dubbi: è indispensabile che questo schema – questa percezione – si rovesci e che l’Unione Europea torni ad essere per i suoi cittadini una risposta, una speranza e una promessa di futuro. Per l’esattezza: l’unica risposta, l’unica speranza e l’unica promessa di un futuro accettabile. I cittadini europei dovrebbero sentirsi coinvolti nella costruzione di una prospettiva concreta di sviluppo – un nuovo modello di sviluppo, aggiungo: perché si tratta di essere creativi. Dovrà trattarsi di uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile, fondato sulla conoscenza. Spetta all’Europa realizzare la sintesi fra economia e cultura, dimostrando al mondo che l’una non può esistere senza l’altra.

Qualunque sia l’iniziativa che le forze democratiche e federaliste decideranno di assumere, un piano europeo per lo sviluppo, che riprenda il discorso abbandonato di Lisbona e indichi un futuro ai cittadini dell’Unione, dovrebbe esserne al tempo stesso il contenuto fondamentale e il marchio evidente. Dovrà esistere nel più breve tempo possibile una politica economica europea, con una politica industriale europea che preveda un grande piano di investimenti in infrastrutture, ricerca e formazione, orientato a quella grande (benché graduale) riconversione della produzione in senso ecologico che ormai tutti giudicano necessaria e improrogabile.

Al tempo stesso è chiaro che un simile piano può essere realizzato solo se l’assetto istituzionale dell’Unione verrà riformato in senso federale: perché occorrono risorse che l’attuale struttura del bilancio comunitario non garantisce, occorre una finanza pubblica europea, occorre rimuovere il diritto di veto in materia di politica economica e fiscale. Inutile aggiungere che i tempi sono decisamente propizi, nonostante le prevedibili resistenze, perché una politica europea di bilancio vincolante esiste già di fatto, e proprio in questi giorni si sta mettendo mano a un’armonizzazione delle politiche fiscali, mentre una riforma anche sostanziale dei Trattati appare solo una questione di tempo. Tabù decennali stanno crollando uno dopo l’altro sotto l’urto degli eventi, e sarebbe davvero imperdonabile se la politica si tirasse indietro in una simile circostanza: i costi futuri si rivelerebbero presto insostenibili.


Una proposta

Per fortuna non si richiede di partire da zero. Al contrario: esiste una maggioranza nel Parlamento Europeo favorevole a imboccare questa strada. Ce lo rivela la Risoluzione approvata il 20 ottobre scorso contenente raccomandazioni puntuali alla Commissione Europea per un rafforzamento della governance dell’Eurogruppo e dell’intera Unione. Il federalista che legga anche solo la V raccomandazione in allegato avrà già parecchi motivi di soddisfazione, perché vi troverà, fra l’altro, espliciti riferimenti alla necessità di istituire una finanza pubblica europea e un Tesoro europeo: in breve, l’ossatura di un futuro governo europeo dell’economia, da realizzarsi mediante la cessione di quote decisive di sovranità dagli stati membri all’Unione.

Esiste dunque una maggioranza nel Parlamento Europeo, e noi sappiamo che esiste anche un’avanguardia: il Gruppo Spinelli. Costituitosi negli ultimi mesi del 2010, il Gruppo annovera fra i suoi membri personalità di eccezionale rilievo, sta raccogliendo il consenso di tutti i principali gruppi parlamentari e si è già mostrato capace di esercitare un’influenza determinante sul Parlamento, come hanno messo in luce le vicende (non ancora concluse) relative all’approvazione del bilancio comunitario per il 2011.

Su impulso del Gruppo si potrebbe perciò costituire una commissione di esperti (tra i quali membri qualificati del Movimento Federalista Europeo) per l’elaborazione di un progetto organico di investimenti federali per lo sviluppo sostenibile, tale da conferire sostanza e credibilità agli obiettivi della strategia UE 2020: non quindi una raccomandazione generica, ma una risoluzione che proponga un progetto specifico e articolato, centrato sull’idea di sviluppo, però con un corollario di riforme istituzionali che gli diano implicitamente la stessa carica innovatrice che ebbe nel 1984 il Trattato Spinelli e mirino a istituire, di fatto, una Federazione europea.

Se un’azione del genere venisse impostata esisterebbe ancora un pericolo da scongiurare: il rischio che l’iniziativa federalista portata avanti dal Parlamento Europeo si ritrovasse isolata, e per questo incapace di prevalere su un’eventuale opposizione del Consiglio. Ciò che appunto si verificò nel 1984. Se tale rischio sussiste è perché manca sulla scena europea l’attore più decisivo: i partiti politici nazionali. Il loro appoggio ad un’iniziativa federalista sarebbe indispensabile. Non bisogna dimenticare che dietro un Ministro e un Commissario europei c’è sempre un partito, la cui influenza al momento giusto potrebbe essere determinante.

In questo il Movimento Federalista Europeo può avere un ruolo preciso: contattare i responsabili per le politiche europee dei diversi partiti e farli discutere intorno al tavolo di un interforum federalista, con l’obiettivo, dopo avere trovato un accordo, di redigere un documento di indirizzo politico da sottoporre agli organi dirigenti dei rispettivi partiti perché si facciano carico della questione europea e si impegnino ad appoggiare, in tutte le sedi (Parlamento, Commissione, Consiglio dell’Unione, Consiglio Europeo), l’azione federalista del Parlamento Europeo.

Infine, e per l’intera durata dell’iniziativa, sarebbe altrettanto importante che il contenuto e la finalità del progetto fossero comunicati, servendosi di tutti i canali possibili, ai cittadini e ai diversi soggetti della società civile, ponendo sempre l’accento sulle prospettive di sviluppo economico e sociale che la sua attuazione garantirebbe.

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Mozione sulla Tunisia deella direzione nazionale MFE – sabato, 22 gennaio 2011

La Direzione nazionale del Movimento Federalista Europeo,

riunita a Milano il 22 gennaio 2011,


considerato

– che la caduta del corrotto regime di Ben Ali in Tunisia è la manifestazione di un disagio che investe tutto il Maghreb e che ha le radici in motivazioni sia economico-sociali che civili e politiche e segna il fallimento del sostegno che soprattutto Washington e Parigi, ma anche Roma, hanno dato al tiranno di Tunisi;

– che la disperazione in cui vivono milioni di persone, soprattutto giovani, nei paesi della sponda Sud del Mediterraneo spinge masse crescenti a cercare nell’emigrazione condizioni più umane di vita, mentre la crisi economico-finanziaria provoca nei paesi europei reazioni di rigetto, intolleranza ed anche di vero e proprio razzismo;

– che la globalizzazione senza governo e senza regole degli ultimi vent’anni, pur avendo strappato alla povertà e alla fame intere aree del Pianeta, ha aggravato le disuguaglianze, distrutto l’ambiente, aumentato il prezzo delle materie prime e degli alimenti, favorito il fondamentalismo ed il terrorismo;

tenuto conto

– che il Partenariato euro-mediterraneo (1995) e l’Unione per il Mediterraneo (2008) non hanno realizzato l’area di libero scambio progettata per il 2010, mentre i singoli paesi europei preferiscono regolare i rapporti con i paesi delle altre due sponde del Mediterraneo a livello bilaterale;

– che l’UE non ha rispettato l’impegno a interrompere la cooperazione economica con i paesi della sponda meridionale del Mediterraneo che violano i diritti umani;

– che il conflitto israelo-palestinese, alla cui soluzione l’UE non è in grado di contribuire a causa della mancanza di un governo europeo e di una politica estera e di sicurezza europea, rappresenta il principale ostacolo alla cooperazione nell’area mediterranea;

– che l’opposizione della Francia e della Germania all’adesione della Turchia all’UE alimenta la tendenza dell’Europa a chiudersi in se stessa, abbandonando alla loro sorte i popoli che non ne fanno parte;

ricorda

– che la creazione della Federazione europea rappresenta il presupposto per promuovere la pace, la democrazia e lo sviluppo economico nel Mediterraneo e per contribuire all’evoluzione in senso federale dell’Unione africana e della Lega araba;

chiede al Parlamento europeo, alla Commissione e al Consiglio

– di avviare un piano di aiuti verso i paesi del Maghreb per combattere la disoccupazione, l’emigrazione, la corruzione ed il peggioramento delle condizioni ambientali;

– di dotare l’Unione per il Mediterraneo di istituzioni comuni e paritarie in grado di rafforzare l’Assemblea parlamentare euro-mediterranea e l’integrazione tra le due sponde del Mediterraneo;

– di rimettere in moto i negoziati per l’adesione della Turchia e di fissare una data per tale adesione;

– di aumentare il bilancio europeo con l’emissione di Union bonds e mediante una tassazione europea per dotare l’UE delle risorse proprie necessarie a completare l’allargamento e a realizzare la politica di buon vicinato;

– di attivare al più presto la cooperazione strutturata permanente in campo militare tra un gruppo di Stati dell’UE anche allo scopo di creare una forza di intervento e di interposizione capace di contribuire efficacemente alla soluzione del conflitto israelo-palestinese, che rappresenta un nodo irrisolto per promuovere una effettiva cooperazione euro-mediterranea.

http://www.mfe.it/

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Date le numerose adesioni, di seguito pubblichiamo il programma definitivo dell’evento.

MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO

Centri Regionali di Abruzzo, Campania,

Emilia-Romagna, Lazio e Puglia


Programma definitivo

CONFRONTO MFE – MONDO DELLA POLITICA:

QUALI INIZIATIVE COMUNI PER LA FEDERAZIONE EUROPEA ?

Sabato 29 e Domenica 30 Gennaio 2011

Grand Hotel Adriatico, Montesilvano – PESCARA

SABATO 29 GENNAIO, ORE 14 DOMENICA 30 GENNAIO, ORE 9,30
Presiede: Damiana GUARASCIO, Pres. MFE Abruzzo Presiede: Eliana CAPRETTI, Seg. MFE Campania
Presentazione dei lavoriPaolo ACUNZO, Vice Seg. Naz. MFE Le Convenzioni dei cittadini europei”Virgilio DASTOLI, Pres. CIME
Il Piano E per l’Unione Federale EuropeaGuido MONTANI, Vice Pres. UEF Le campagne sui cambiamenti climatici”Maurizio GUBBIOTTI, Coord. Seg. LegAmbiente
Il Gruppo Spinelli”Sandro GOZI, Resp. Europa PD La terza rivoluzione industriale”Liliana DIGIACOMO, Dir. Naz. MFE
Il Movimento dei Movimenti”Roberto PALEA, Dir. Naz. MFE Un piano europeo per lo sviluppo”Michele BALLERIN, MFE – Emilia Romagna
Una proposta federalista ai partiti”Francesco GUI, MFE – Lazio La formazione in Europa”Raimondo CAGIANO, Pres. CIFE
L’Europa e i Diritti umani”Paolo GIANNOCCARI, AIPPE–Ass. italiana per PPE Una Scuola di politica europea”Stefano PIETROSANTI, Forum Nazionale Giovani
La protezione del lavoro in Europa”Grazia BORGNA, Dir. Naz. MFE Le Primarie del Popolo europeo”Paolo ORIOLI, Comitato promotore per le Primarie
Coerenza tra bilancio europeo e sistemi contabili”Pierluigi SORTI, Ass. Innovatori europei TransEuropa Network”Lorenzo MARSILI, European Alternatives
Il reddito minimo garantito”Piergiorgio GROSSI, Dir. Naz. MFE I Diritti civili dei Federalisti”Alcide SCARABINO, Uff. Campagna MFE – Roma
Un programma di governo per l’Europa”Antonio LONGO, Coord. Uff. Campagna MFE Europa e Mezzogiorno”Enzo AMENDOLA, Seg. PD Campania
L’Osservatorio europeo”Roberto MUSACCHIO, Resp. Europa SEL Un Congresso trans-frontaliero per il MFE”Ugo FERRUTA, Seg. MFE – Friuli Venezia Giulia
Il debito ecologico tra Nord e Sud del mondo”Lamberto ZANETTI, Dir. Naz. MFE Ore 13, Conclusioni 

A cura del Comitato promotore

Formula del confronto: Ogni proposta di iniziativa sarà presentata da una relazione di dieci minuti a cui seguiranno interventi liberi dei partecipanti di circa cinque minuti. Il Comitato promotore curerà la redazione di un documento di sintesi del dibattito che verrà presentato al Congresso nazionale MFE (Gorizia, 11-13/03/2011).

La partecipazione è aperta a tutti gli interessati ed è possibile prenotare l’apposito pacchetto notte del sabato e pasti di sabato e domenica (€ 60 in singola; € 45 in doppia) contattando direttamente l’albergo: info@grandhoteladriatico.com Tel. 085.4452695 Fax 085.4683270.

Per informazioni, adesioni e consultazione dei documenti : www.mferoma.eu

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Note per un dibattito. 17 febbraio 2011

Di Roberto Musacchio

Un’avventura chiamata Europa

“Quando la principessa Europa fu rapita da Zeus trasformatosi in toro, suo padre Agenore, re di Tiro in Fenicia (la Siria di oggi), mandò i suoi tre figli maschi alla ricerca della sorella perduta. Uno di essi, Cadmo, fece vela verso Rodi, sbarcò in Tracia e vagò per le terre che in seguito avrebbero preso il nome della sventurata sorella. Giunto a Delfi, chiese all’oracolo dove si trovasse Europa. Su quel punto la Pizia, fedele alle sue abitudini, si mostrò evasiva, ma fece il favore di regalare a Cadmo un consiglio pratico: “ Non la troverai. Prendi invece una vacca: la seguirai pungendola, ma non lasciarla mai riposare. Nel punto in cui cadrà a terra sfinita, costruisci una città”. Ecco la storia dell’origine mitica di Tebe ( da cui, osserviamo noi col senno di poi, si avviò una concatenazione di eventi che fu il filo con cui Sofocle ed Euripide tesserono l’idea europea di legge, consentendo ad Edipo di mettere in pratica quella che sarebbe divenuta la cornice fondamentale per l’indole, i tormenti e lo scenario di vita degli europei ). “Cercare l’Europa – così Denis de Rougemont commenta la lezione di Cadmo – significa crearla! L’Europa esiste attraverso la sua ricerca dell’infinito,ed è questo che io chiamo avventura”.

Da “ L’Europa è un avventura “

di Zygmunt Bauman.

Volendo provare a proporre un ragionamento sull’Europa per il nascente gruppo di lavoro di SEL [n.dr. Sinistra e Libertà] mi è sembrato giusto partire da questa citazione che apre il libro di Bauman perché essa è densa di materiali importanti per il tipo di approccio che ho in mente. L’Europa appare come uno dei grandi miti fondativi della cultura umana. Come tale è ben di più di una realtà o di una costruzione materiale ma è una vera e propria narrazione. Per giunta il mito ce la consegna come storia aperta, un qualcosa che non si troverà ma che vive della sua ricerca e di ciò che questa ricerca produce. Siamo di fronte ad una parte  significativa di quell’umanesimo che, lungi dall’essere una categoria astratta, è ciò che mantiene una tensione permanente tra i processi storici e il persistere di un futuro aperto. L’Europa è il pensarsi in un tempo e in un luogo che però sono in cammino permanente. E quel che conta è proprio il cammino, perché tutto il resto è incerto.

Anche il luogo di partenza, se pensiamo che per Europa i greco-romani intendevano i luoghi che abbracciavano il Mediterraneo e che solo dopo la battaglia di Poitier un monaco chiamò Europa le terre a Nord degli arabi, sconfitti in quello scontro che diede vita appunto all’Europa carolingia. Come vediamo, già a questo punto, abbiamo incontrato tanti spartiacque. Il mare Mediterraneo che unisce e quello che divide.

Quello che è culla, habitat di quella particolare tra le specie che è la umana, e quello che è luogo di divisioni e guerre. Di certo, in epoca di globalizzazione, possiamo ritrovare le vie per un’altra idea di con/dividere il mondo. Quella che poggia proprio nel desiderio dell’avventura che si esprime nel mito d’Europa. Che, ancora più dentro i processi della natura, fa del movimento l’elemento fondamentale del realizzarsi della biodiversità, dalle realtà monocellulari migranti dall’acqua alla terra, dai primi sapiens migranti dall’Africa al mondo, alle odierne società multietniche. Anche qui spartiacque, tra intreccio o rottura tra specie sapiens e natura; tra libertà, appunto di muoversi, e costrizione a farlo o a non farlo; tra convivenza/meticciato e guerra, costruzione del capro espiatorio. E insieme, come ricorda Bauman, le costruzioni dell’io ( da Edipo a Freud ) e del noi ( il farsi legge, stato, economia …). Materiali dunque che hanno impastato una parte grande della Storia e che ci consegnano quell’Oggi che qualcuno vorrebbe fine della storia stessa e dominio del pensiero unico. Ma è proprio la potenza magmatica di questi materiali che scorrono vivi nella storia dell’Umanesimo che può farci dire della povertà di ogni approccio riduzionistico. In fondo tutto il farsi storia del mito di Europa ce lo conferma. Il mito è riuscito a sopravvivere a tutto ciò che si è determinato col suo incarnarsi. Ed è tanto, nel bene e,   drammaticamente troppo, nel male. L’Europa è qui, la sua storia sospesa tra il più ricco degli intrecci tra natura e cultura e il prodursi delle mostruosità più aberranti. Di tutto ciò vivono i nostri cromosomi individuali e collettivi. E oggi siamo,forse, al compimento del mito. La globalizzazione, che fu il sogno di un’avventura infinita, è la realtà che chiede all’Umanesimo di compiersi per non sopperire.

L’Europa dunque come luogo o, anche di più, idea di un’altra globalizzazione. Non una costruzione chiusa, un superstato, ma al contrario un punto di vista per la realizzazione di una convivenza globale democratica. Ma è possibile? Io penso di si. I materiali che si sono depositati nel farsi storia del mito possono essere re impastati. Sono materiali che rappresentano una parte grande di quella che possiamo chiamare la modernità che si affermata come epoca lunga della storia dell’umanità. Naturalmente la datazione di questa modernità è materia discussa, ma io riterrei errato delimitarla all’epoca dello sviluppo industriale, che pure ne caratterizza la fase contemporanea, escludendo le epoche antiche che hanno impastato cognizioni fondamentali in ogni campo. Hanno una complessità storica, culturale, economica, sociale, scientifica ) tale che seppure ha determinato il soccombere di altre possibili modernità non ne ha estirpato la possibilità. Anzi, lo sviluppo culturale, sociale e scientifico, ne hanno palesate di nuove. Non a caso è qui che prendono corpo il movimento operaio e poi i nuovi movimenti , dal femminismo all’ecologismo. Ma anche il pensiero liberale è in Europa assai più di una semplice teoria economica statuale al servizio dell’affermarsi della borghesia e delle sue costruzioni nazionali, impregnato come è di elementi di diritto e di convivenza universalistici. Complessivamente l’Europa si è formata, pur per vie diverse nelle sue varie realtà, in un crogiuolo culturale che ha saputo costruire relazioni particolari tra lo sviluppo economico, il lavoro,gli assetti naturali, le realtà urbane diffusesi con l’uscita dal feudalesimo, le forme di governo. E’ ciò che ci fa parlare di un modello sociale europeo, che in realtà è un modello culturale in senso forte. E’ ciò che ha fatto si che insieme al formarsi degli Stati Nazionali permanesse ed anzi trovasse nuova linfa l’idea di una costruzione più ampia. Una idea che ha preso percorsi diversi in epoche diverse, comprese quelle più antiche; che vive in fondo anche in pensieri che hanno guardato a costruzioni di tipo sociale (l’internazionale futura umanità ); che ha preso corpo anche in esperienze terribili che invece dell’umanesimo volevano realizzare la superiorità razziale. Anche per questo è importante che siamo nel luogo dove si è pure stati capaci di guardare in faccia, vivendone l’orrore ma senza pietrificarsi, le abiezioni più terribili che individualmente e collettivamente la specie umana abbia potuto immaginare, e provare a redimersene. L’Europa che ha preso corpo nel secondo dopoguerra è anche frutto di questi processi; e chi la ha pensata nelle varie famiglie del pensiero democratico europeo aveva questo afflato. E’ per tutto ciò che anche l’Europa che oggi concretamente esiste ha in sé contraddizioni grandi che esprimono sì un prevalente ma anche la possibilità di alternativa. Il prevalente, non c’è dubbio, è il costringere la costruzione europea all’interno di una semplice variante della globalizzazione liberista. Ciò significa, al fine, negare l’Europa stessa, e non a caso stiamo assistendo ad un processo di costruzione che contemporaneamente smantella i portati fondanti di quello che è un vero modello culturale e sociale. Ma d’altro canto questo smantellamento non è né indolore né scontato e, al contrario, si possono produrre materiali per una risalita.

La ricerca su tutto ciò sarebbe lunga e impegnativa e non può essere oggetto di questa nota che ora deve necessariamente virare su una ipotesi di lavoro. Ma sono voluto partire con questo approccio perché è al fondamento di quello che io penso sia la bussola indispensabile. L’Europa non è un luogo separato di una politica che si gioca ancora sullo scacchiere nazionale ma una delle chiavi di reinterpretazioni di tutta la politica. Ancora di più: se è vero che siamo di fronte ad una crisi della politica che è in realtà la crisi di una intera fase della modernità, che coinvolge addirittura la idea di democrazia, riattraversare i processi per reindirizzarli è indispensabile. Dunque è una pratica necessariamente fondativa e quotidiana. A questa reinterpretazione e a questa pratica dobbiamo dedicarci con passione.

Se parto dal prevalente che considero negativo non è dunque per catastrofismo ma per leggere le criticità. Sono molte ed anche in potenziale contraddizione tra loro. Si sta affermando un’ Europa che rischia, come dicevo, di negare se stessa. Il rapporto col modello sociale è parte non secondaria di questa identità europea. Il lavoro, il suo ruolo costituente, il welfare, i suoi valori oltreché le sue prestazioni, il pubblico come strumento che crea una realtà condivisa, sono pilastri che vengono permanentemente minati in questa fase di costruzione dell’Unione. Il ruolo del lavoro è sostanzialmente ridotto ad impiegabilità in funzione della centralità della impresa depositaria della sovranità reale in quanto proiettata nella globalizzazione. Il lavoro può essere solo frutto della crescita che si determina grazie alle politiche di sostegno all’impresa che devono essere messe in campo e che coincidono con le liberalizzazioni e le privatizzazioni. Naturalmente questo prevalente è variamente declinato a seconda delle aree ed è accompagnato dalla enunciazione di elementi valoriali che concernono il diritto del lavoro o il ruolo della innovazione e della conoscenza di cui è ampiamente ridondante la cosiddetta Strategia Sociale della UE da Lisbona 2000-2010 all’attuale strategia Europa 2020. Ma sono i dati stessi del consultivo di Lisbona che ci dicono che le cose sono andate in direzione assai diversa. L’obbiettivo del 70% di occupazione media previsto è ben distante ed anzi i due anni ultimi di crisi hanno determinato significativi ritorni all’indietro; molta dell’occupazione prodotta è di carattere precario e prevalentemente destinata a rimanere tale o a ripiombare nell’inoccupazione come è accaduto con la crisi; la precarietà colpisce in particolare giovani e donne; si presentano aree crescenti di lavoro povero che contribuiscono ad un dato di povertà complessiva che ormai sfiora il 20%; le forme individualizzate di relazione lavorativa, l’aut aut in deroga ai contratti collettivi, di cui era previsto il superamento si stanno invece allargando; la forbice reddituale interna ai Paesi e nell’Unione è in grande crescita ampliando i processi di dumping. L’inserimento del diritto del lavoro nei processi costitutivi dell’Unione appare inadeguato e contraddittorio. La Carta di Nizza è più debole di molte normative nazionali, risulta aggiuntiva al processo costituente fondato sul mercato e sulla moneta, non riesce a definire a sufficienza un nuovo terreno comunitario del diritto del lavoro che è indispensabile a fronte dei processi materiali o di sentenze della Corte di Giustizia come nel caso Laval. Le ferite  aperte sul versante lavoro hanno non poco determinato un fallimento sostanziale degli obiettivi di armonizzazione previsti per l’Europa.

Analogamente avviene per le prestazioni di welfare per altro storicamente intrecciate a quelle del lavoro, sia pure con differenze che per altro riguardano anche i mercati del lavoro. Anche qui c’è una scissione evidente tra gli obiettivi proclamati e quelli raggiunti. La qualità e la quantità dei servizi prodotti resta segnata dalle stesse differenziazioni che si avevano all’inizio della integrazione. Il  carattere complessivo è decrescente e lo spostamento verso il privato ha determinato più che altro un decremento delle prestazioni a vantaggio della profittabilità spesso speculativa. Si è negata una realtà storica che vede nel pubblico il fattore che è stato decisivo per fare dell’Europa il Continente, per alcuni versi unico, che ha consentito l’accesso tendenzialmente universale a beni comuni come l’acqua, l’istruzione o la salute e la previdenza. La riduzione del welfare avviene per altro in presenza di un aggravarsi di fenomeni di povertà, emarginazione e all’emergere di nuovi bisogni come quelli connessi all’invecchiamento della popolazione.E’ bastata per altro la crisi finanziaria di questi due anni per azzerare gli effetti delle cosiddette politiche di rigore rilanciando clamorosamente i deficit.

Appare dunque incredibile che venga riproposta di fronte alla crisi una politica monetaristica per giunta rafforzata. Essa è destinata ad acuire enormemente le sofferenze sociali senza incidere né sulle cause strutturali né su quelle congiunturali della crisi, né su quelle globali, né su quelle interne all’Unione. Non c’è dubbio per altro che se la moneta unica è stato un effettivo strumento di armonizzazione dell’UE, il monetarismo al contrario ha ingessato le distorsioni ed acuito le contraddizioni. Affidare alla stabilità monetaria, quale strumento impositivo delle politiche liberistiche, i compiti propri di una politica economica e sociale ha portato sia alle mancate armonizzazioni sociali di cui dicevo, sia ad un congelamento degli interessi produttivi nazionali. L’Europa continua ad essere divisa in due macro aggregazioni, una volta ad una economia di esportazione e l’altra costretta a dipendere dalle importazioni. Il che, considerando anche che nonostante la globalizzazione una parte significativa dell’economia della UE è interna, cosa per altro potenzialmente di grande valore, determina squilibri finanziari, sociali e produttivi. Che non vi sia una politica industriale Europea, a partire da quella della mobilità, è un’autentica follia.

Una Europa così somma insieme due tendenze entrambe negative. Un prevalente dell’Europa Carolingia, franco tedesca, a danno di un’idea integrata ed aperta. Un’Europa subalterna alle altre economie globalizzate, da quella americana a quella cinese. Questa Europa diviene incapace di sfruttare appieno i propri potenziali. Un esempio significativo è la debolezza con cui determina al proprio interno e si batte sullo scenario globale ad esempio sulla conversione ecologica dell’economia. Faccio solo un esempio per mostrare quali potenzialità ha l’accumulo di civiltà incarnato dal modello europeo: per ogni dollaro di valore prodotto l’economia europea emette la metà di grammi di CO2 di quella USA e di quella cinese, che sono significativamente allo stesso livello. Un posizionamento formidabile dato dalla qualità produttiva e sociale europea. Eppure la sia pur importante produzione di decisioni sulle politiche climatiche fatta dall’Europa è ben lungi dal divenire la chiave di volta per affrontare le scelte sulla crisi sia all’interno che nel  consesso globale.

Discorso analogo si può fare per i diritti. Essi potrebbero rappresentare la chiave di volta per un’altra globalizzazione. La storia insegna che diritti del lavoro, diritti sociali e democrazia sono stati intrecciati ed hanno costituito l’architrave della modernità europea più propulsiva. E’ incredibile che oggi che si pone la necessità e la possibilità di una loro globalizzazione l’Europa vi abdichi. E l’abdicazione avviene su punti chiave. Prendiamo il lavoro. L’Europa nasce con il riconoscimento del diritto del lavoro a liberarsi dalla condizione di servitù feudale e dunque a muoversi liberamente per cercare di realizzarsi. Già su questo valore storico del diritto alla mobilità per lavorare si registra una cesura reazionaria. La mobilità viene negata come diritto e tuttalpiù concessa per funzioni. Il caso dei migranti extracomunitari è il più estremo ma è molto grave anche l’idea di limitare il diritto di mobilità anche per i comunitari. Tutto ne viene stravolto.

Non c’è più un diritto in sé ma la concessione solo a chi serve e si adatta. E la cittadinanza può essere limitata per censo, perché chi non ha reddito non può circolare e soggiornare. E’ una rottura totale con le modernità antiche e contemporanee, con i diritti liberali e sociali. Arriviamo al punto che alcuni pensatori liberali possano scrivere che diritti di cittadinanza e sociali sono cose distinte e distinguibili e che possano esistere l’uno senza gli altri. Appunto, la subalternità insieme agli USA e alla Cina, verso la quale si oscilla tra protezionismo, omologazione, incapacità di relazione propositiva. E insieme al diritto alla mobilità si tende a negare al lavoro il diritto di coalizione, cioè di essere riconosciuto come soggetto collettivo autonomo. Naturalmente il tema dei diritti non concerne solo il lavoro. Io ne propongo una lettura integrata perché tale è stato il processo storico. Ma l’Europa fortezza, contro i migranti, è quella che scioglie in negativo le proprie ambiguità e fa del Mediterraneo non la sua culla ma la sua frontiera e il suo tragico cimitero. Tutto ciò trasuda di schizofrenia se si pensa che documenti ufficiali della Commissione parlano di un bisogno grande di migranti come di mobilità interna. Ma la tentazione è di costruire un funzionalismo ademocratico che nega il concetto stesso di diritto. Viene ammesso solo ciò che è compatibile con una società modulata sulla logica di impresa. Per il resto si evoca permanentemente la paura dell’altro, gli impulsi xenofobi. La politica viene riconvertita in gestione della funzionalità e della paura. Non c’è da meravigliarsi che in questo quadro riemergano forme di razzismo antiche ed ancestrali insieme all’emergere di forme nuove di differenzialismo antropomorfico. Pensare ai test di ammissione alla cittadinanza che vengono introdotti e rivedere quelli che si facevano in America mostrati dallo splendido film il mondo nuovo è tuttuno.

Ma in un quadro così è l’idea di democrazia socialmente connotata storicamente realizzatasi in Europa che viene in crisi. E dalle radici. Le radici sono il riconoscimento del punto di vista altro e del diritto al conflitto. Questo viene messo in discussione. Il conflitto viene esorcizzato ed espunto. Le scelte si ammantano di una valenza tecnica, obbligata. Ciò è particolarmente rischioso perché la globalizzazione ha reso i meccanismi decisionali più astratti. E perché la realtà si è fatta più complessa, interdipendente e prossima alle soglie e chiederebbe come insegnano i filosofi della complessità più democrazia e non meno.

Quello che sta accadendo in Europa con la crisi è un cambio di scenario decisivo. La governance si è rafforzata. Le decisioni sono assai più strutturalmente ricondotte al livello comunitario. Questo è anche un fatto importante perché mostra una maturità indispensabile per affrontare la globalizzazione e la sua crisi.

Ma ciò avviene con una assoluta preponderanza dei poteri esecutivi, del coordinamento dei governi e delle tecnocrazie a scapito delle forme democratiche. Ed avviene su contenuti che confermano quel quadro di comando monetaristico così responsabile della crisi. Il paradosso è evidente se si pensa che dall’altra parte pure l’UE si è dotata dell’unica forma esistente di Parlamento  continentale eletto a suffragio universale. Ma non è alla democrazia che ci si affida ma alle funzioni governiste. Così come è paradossale che il lungo lavoro per una costituzionalizzazione abbia prodotto un Trattato più segnato dall’epoca recente della

globalizzazione che dal respiro profondo del modello europeo.

Non è dunque un caso che questa Europa appaia muta nello scenario globale. Questo assai più di ciò che effettivamente sia. Prendiamo la Pace, che pure è stata l’aspirazione grande che ha portato ancora più di altre all’affermarsi del bisogno di Europa dopo le tragedie delle guerre mondiali. Ebbene proprio sulla pace l’Europa è stata impotente e divisa, spesso complice, sia negli scenari lontani che in quelli più vicini come la ex Yugoslavia. La teoria della guerra infinita ha inquinato l’Europa che ha addirittura teorizzato la guerra umanitaria. Ma non solo il subire la guerra, ma anche il non saper praticare la pace come è evidente dal conflitto Palestina-Israele, a quello curdo a tanti altri. Una Europa incapace di una politica verso l’Africa come verso l’America Latina. Che non mantiene i propri impegni come nei confronti dell’allargamento alla  Turchia impantanato da nuovi discriminanti religiose e da incapacità geopolitiche. Che non riesce a determinare neanche una integrazione dell’area dei Balcani della cui disgregazione porta pesanti responsabilità.

Non è un caso che in questa Europa tutte le sinistre e le forze progressiste conoscano una fase di grande difficoltà. I governi di centrosinistra che erano la maggioranza larga ai tempi di Delors e del lancio della Strategia di Lisbona, sono ridotti a pochissimi, per altro in crisi. D’altro canto si sono andate affermando forze di destra di matrice reazionaria e xenofoba particolarmente inquietanti. Ciò non significa però che l’Europa sia definitivamente andata a destra. D’altro canto infatti sono tornati movimenti di grande rilievo e su molteplici scenari. Parlo delle lotte sindacali e sociali in questa fase di crisi. Ma parlo di una più generale partecipazione all’esperienza dei movimenti di altermondialismo che ha visto significative presenze ed articolazioni europee. Tanti sono i fronti aperti, dalla precarietà, all’acqua, alla scuola, ai migranti. Sono movimenti che cominciano a diffondersi significativamente anche in quello che è stato l’Est europeo e che realizzano forme di armonizzazione che non riescono invece alle politiche ufficiali. Le stesse sinistre e forze progressiste stanno provando in più casi a ripensarsi senza negarsi nella propria identità ed anzi recuperando una qualche autonomia dopo la stagione della omologazione alla modernizzazione liberista interpretata dal blairismo e dalla Terza via. Questo vale per le forze socialiste, dalla SPD, al PSF, al Labour. Vale per gli ecologisti,i siano essi i Grunen tedeschi o l’esperienza originale di Cohn-Bendit in Francia che non a caso lega ecologismo ed Europa. E vale per l’esperienza del Partito della Sinistra Europea che vive innanzitutto della capacità della Linke tedesca di rivisitare e ricongiungere storie passate, della Germania e dell’Europa, senza sconto ma anche senza rimozioni. Per tutte queste forze il tema è quello di un salto di qualità indispensabile. Bisogna costruire una politica che viva a livello dell’Europa, dei suoi cittadini, dei suoi lavoratori, dei suoi giovani come politica quotidiana e di prospettiva. Bisogna costruire una rappresentanza di questa politica, sindacati, movimenti, piattaforme, vertenzialità, soggetti politici. E per farlo occorre superare i limiti e le strettezze nazionali ma anche le vecchie divisioni tra le forze del 900.

Ma per farlo occorre pensare di voler stare in Europa e di appartenere al campo della sinistra che tutta l’Europa riconosce. La situazione italiana è da questo punto di vista paradossale. La sinistra italiana ha avuto la fortuna di non avere divisioni acute tra forze europeiste ed antieuropeiste, come pure è accaduto, e ancora permane in altri Paesi europei. Sia pure con tragitti propri le grandi forze della sinistra italiana si riconoscono nell’europeismo di sinistra, e non fu un caso che Spinelli fosse eletto a Strasburgo dal PCI. Ma ora, anche per la influenza del blairismo, si è creata con il processo di costruzione del PD il rischio di una vera anomalia con l’emergere di una aggregazione di forze che seppure non nega la centralità europea mutua un prevalente di cultura politica da forme di americanismo che rischiano nei fatti di indebolire la forza della costruzione comunitaria. Non c’è nel dire ciò alcun sentimento di antiamericanismo né una idea arroccata di Europa. C’è al contrario l’adesione ad un percorso storico la cui negazione, come detto fin qui, rischia di essere un danno per qualsiasi ricerca di diversa globalizzazione e per i processi democratici in atto negli stessi USA. Non c’è dubbio che la volontà di negare una soggettività autonoma alla identità della sinistra, di assumere i modelli della democrazia statunitense e di incorporare la logica imprenditoriale e sociale USA, vanno in questa direzione. La difficoltà evidente in Europa a comprendere il fenomeno PD sta in ciò. Ma ciò rappresenta un problema anche per l’Italia che avrebbe bisogno invece di una sinistra capace di proiettarsi pienamente nella costruzione di una Europa diversa. Che lo scenario Europeo sia decisivo per le politiche nazionali è evidente a tutti, e l’Italia non sfugge alla regola. Si può dire che il centrosinistra vinse le elezioni con l’uomo più emblematicamente capace di proiettarla in Europa, Prodi. Ma poi perse il governo per l’incapacità di contribuire ad una strada diversa dalla subalternità al monetarismo. E si può dire che la parabola delle destre sta tra il vecchio Tremonti anti Bruxelles e l’attuale Tremonti ortodosso della BCE. In mezzo a queste due realtà, del centro sinistra e delle destre, ci sta un’Italia che avrebbe bisogno di stare in Europa ma di pesarci. Invece per una parte, e penso alla non attuazione delle politiche climatiche, non ci stiamo; e per un’altra, e penso alla subalternità della legge di stabilità, subiamo i diktat tedeschi. L’“autonomia” che si concede Tremonti è quella di scegliere nella crisi un profilo tutto filo leghista, con due misure, lo scudo fiscale e l’uso del FSE per pagare la cassa integrazione, che parlano ad un’area e a certi ceti imprenditoriali. Non è un caso che le destre si siano divise perché l’idea di Tremonti e della Lega è che questo Paese così come è non passa tutto intero nella crisi. E dunque occorre che l’Italia stia nell’Europa della crisi come una sorta di Lega Italia. Subalterno all’asse forte, più spezzettato geograficamente e socialmente. E’ qui che il tremontismo può convivere con il marchionismo per il resto assai più americanizzante. Convive perché aiuta quello spezzettamento cui si oppongono le vere strutture portanti l’unità del Paese come il contratto nazionale di lavoro. La vicenda di Marchionne è emblematica perché la sua filosofia è stata respinta in Germania dai sindacati come dalla Merkel; la sua FIAT perde costantemente mercati europei ricercando altri improbabili lidi, ma lui diventa l’uomo per tutti, centrodestra e buona parte del centro sinistra. Il danno è grave. Ancora prima che per il centro sinistra, che rischia di essere subalterno a tutto e tutti, alla Merkel come a Tremonti e a Marchionne, per l’Italia. L’Italia infatti ha bisogno di lavorare ad una Europa diversa. Continuo con l’esempio delle auto. Ma perché non chiediamo una politica europea dell’auto? Perché mentre in Germania e in Francia il pubblico investe sulla innovazione auto, si rilocalizzano e reinternalizzano le produzioni e si fanno record di produzione e vendita, in Italia si spezzetta e si inseguono i SUV? Ma dice niente che il parco vetture prodotto in Italia avrebbe un vantaggio di emissioni in meno di quasi 20 grammi per km su quello tedesco e che non si vende in Europa anche perché la crisi ha lasciato in piedi solo la domanda medioalta? L’Italia ha bisogno di Europa anche perché la sua struttura socioeconomica ha distorsioni profonde che chiedono di essere sanate. La base occupazionale più ristretta; l’esclusione lavorativa più ampia per giovani, donne e aree meridionali; un welfare striminzito e pagato tutto dai lavoratori dipendenti; un doppio regime fiscale che accompagna quote di evasione e di elusione che non hanno pari in Europa; un tasso di laureati bassissimo e prevalentemente femminile; un sistema di imprese affetto da nanismo ecc. Questo stato di cose richiede una riforma radicale, una riscrittura del patto sociale che vada però in senso opposto a quello voluto dalle destre e in direzione assai diversa da quella pensata dal prevalente, fin qui, del centro sinistra. Ma questa riscrittura nazionale deve avvenire nell’ambito di una riscrittura del profilo dell’Europa. Abbiamo una situazione di emergenza. Se si va, come deciso, ad un obbligo di rientro accelerato non solo dal deficit ma anche dal debito, il rischio per l’Italia è di dover pagare in pochissimi anni alcune decine di miliardi di euro. Se continuerà ad operare la destra come fin qui fatto sarà un massacro. Ma se si pensasse di dar corso ad una larga alleanza post berlusconiana che, pur mitigandolo, assumesse lo stesso quadro, sarebbe comunque un disastro. Occorre invece prospettare un quadro diverso per l’Italia e, necessariamente, per l’Europa. Non basta dire che il risanamento va accompagnato con lo sviluppo. La crisi che viviamo è precisamente frutto di questo risanamento e di questo sviluppo. Occorre una diversa idea di risanamento e una diversa idea di sviluppo. Ci sono elementi minori ma importanti che vanno agiti come far calcolare anche il debito privato e puntare con decisione sugli eurobond. Per queste cose c’è spazio di manovra. Ma poi occorre mettere in campo una idea di risanamento che punti sul serio sulle anomalie italiane, ingiustizia fiscale e scarsissima occupazione, chiedendo una sponda in nuove politiche europee. A queste nuove politiche dobbiamo lavorare attivamente, costruendone i soggetti. Penso a vere e proprie coalizioni europeiste. Una coalizione per il lavoro che ponga il tema dell’armonizzazione e della estensione dei diritti; di livelli contrattuali europei, a partire dal settore auto; di un reddito minimo europeo che, come nella risoluzione assai buona votata da poco dal PE, lavori non ad un sussidio di povertà ma ad una armonizzazione salariale e alla copertura del precariato e della disoccupazione; che ponga il tema di politiche di sviluppo a livello dell’Unione e di una esigibilità del Welfare; e che, per fare ciò, si doti di forme di rappresentanza che esprimano un fattivo riconoscimento del diritto di coalizione.

Penso ad una coalizione per i beni comuni, che rilanci l’idea di welfare e di pubblico partecipato, a partire dalle lotte per l’acqua o dalla richiesta sindacale di una direttiva quadro per i servizi di cittadinanza. Penso ad una coalizione per la cittadinanza, il diritto al permesso di soggiorno per ricerca di lavoro e l’integrazione dei diritti di lavoro, i diritti dei migranti, alla mobilità e al soggiorno, per i Rom e le minoranze sulla scorta della petizione che fu proposta qualche anno fa da Trentin. E penso ai diritti civili per tutte e tutti, contro ogni discriminazione a partire da quelle di sesso, che riguardano tutti i Paesi di Europa ma ne fa soffrire alcuni di più e tra questi l’Italia. Penso infine ad una coalizione per la democrazia, urgentissima. Va ricostruito un processo democratico di costruzione dell’Unione per una Unione diversa. E’ urgente che la taskforce per la gestione della crisi economica che è composta da governi e banca, trovi un interfaccia politico sociale nei parlamenti e nei soggetti organizzati. E’ urgente cambiare le priorità del risanamento forzando anche sui trattati, già forzati del resto dal costituzionalismo di fatto dei governi, perché si intervenga sulle materie economiche e sociali. Ma sono il processo e il modello che vanno cambiati compiendo una scelta di ripensamento e riscrittura federalista e democratica secondo le proposte avanzate dalle organizzazioni europeiste della scuola di Spinelli. Naturalmente non penso ad una politica a macchia di leopardo ma di una costruzione organica e di respiro. Dico coalizioni per indicare la costruzione di potenze democratiche in atto. E penso anche all’uso di strumenti nuovi ora disponibili come quello delle raccolte di firme, un milione in almeno 7 paesi, per iniziative di cittadini che propongono direttive a Commissione e a Parlamento ( che incredibilmente non ha potere legislativo ).

Naturalmente, come ha già detto, serve una nuova forma della sinistra in Europa. Noi partiamo dalla nostra realtà e dalla nostra esperienza, l’essere una forza che ha riferimenti internazionali nelle tre famiglie, la socialista, la verde, e la sinistra europea, per lavorare con tutti, consci della nostra modestia ma affascinati da questa grande avventura.

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UNA VITA PER IL FEDERALISMO EUROPEO E LA PACE

AICCRE
ASSOCIAZIONE ITALIANA PER IL CONSIGLIO DEI COMUNI E DELLE REGIONI D’EUROPA
FEDERAZIONE REGIONALE AICCRE ABRUZZO
ISTITUTO COMPRENSIVO STATALE “FALCONE E BORSELLINO” BASCIANO (TE) 
SCUOLA PRIMARIA VAL VOMANO (TE)

 

Inaugurazione della Biblioteca di documentazione europea

“Umberto Serafini”

Realizzata dalla Federazione Regionale AICCRE Abruzzo con i fondi raccolti a favore della popolazione abruzzese colpita dal terremoto.

La cerimonia avrà luogo

SABATO, 29 GENNAIO 2011 alle ore 10.00

presso la Scuola Primaria Val Vomano (TE) – Via Fedele Romani

La presenza della S.V. è particolarmente gradita

PROGRAMMA

Ore 10.00 Saluti Autorità

Interventi: Antonio Lattanzi – Dirigente Scolastico

Lantino Romani – Responsabile USP Teramo

Valter Catarra – Presidente Provincia di Teramo

Pierluigi Di Giacinto – Sindaco di Basciano

Antonio Fabri – Sindaco di Penna S. Andrea

Michele Picciano – Presidente Nazionale AICCRE

Fabio Pellegrini – Vicepresidente del Consiglio d’Europa

Vincenzo Menna – Segretario Nazionale AICCRE

Emilio Verrengia – Segretario Nazionale Aggiunto AICCRE

Raimondo Cagiano de Azevedo – Docente Università “La Sapienza” Roma

Coordina i lavori: Damiana Guarascio – Segretario Generale AICCRE Abruzzo

Umberto Serafini, padre fondatore dell’Europa, nato a Roma nel 1916 e morto il 22 settembre 2005, all’età di 89 anni, iniziò la militanza antifascista già nel 1935, tanto da dover successivamente rinunciare alla docenza universitaria di Storia delle Dottrine Politiche.

Nel 1950, a guida di un gruppo di europeisti, fondò il Consiglio dei Comuni (e successivamente anche delle Regioni) d’Europa al quale divenendo Presidente fondatore della Sezione Italiana (AICCE/AICCRE) dedicò le sue energie dei decenni successivi dirigendo l’importante periodico “Comuni d’Europa”.

Egli fu un alfiere fondamentale ispiratore e realizzatore del contributo sempre più rilevante portato dagli enti locali e regionali alla costruzione di un’Europa unita e federale e contribuì, insieme ad Altiero Spinelli ed Alexandre Marc, a guidare quel “fronte democratico europeo” che si batté duramente e con successo nella lotta per l’elezione popolare diretta del Parlamento europeo.

 

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Per informazioni: Damiana Guarascio – Segretario Generale Federazione Regionale AICCRE Abruzzo

Tel. 085 74720 –  Fax. 085 9432760 – E-mail: damiana.guarascio#tiscali.it

Antonio Lattanzi – Dirigente Scolastico Ist. Compr. Stat. “Falcone e Borsellino” – Basciano (TE)

Tel. 0861 650180 –  Fax. 0861 651653 – E-mail: antoniolattanzi#inwind.it

Val Vomano è una frazione del Comune di Penna S. Andrea. È situata a 15 km da Teramo.

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E’ in distribuzione l’ultimo numero dell’Unità Europea – Periodico del Movimento Federalista Europeo, fondato da Altiero Spinelli nel 1943.

L’indice degli articoli e rubriche:

  • La battaglia per il bilancio federale
  • Il dibattito precongressuale
  • Un governo di emergenza costituzionale per l’Italia
  • Reddito minimo e Parlamento europeo
  • Proposte in vista di Cancún
  • Verhofstadt e il Gruppo Spinelli
  • Cambiare la relazione di potere nel FMI
  • Il contributo di Albertini al pensiero federalista
  • Osservatorio
  • Attività
  • In libreria

Per abbonamenti: mfe@mfe.it

Per visualizzare il numero 6/2010 clicca qui

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CONTRIBUTO AL CONVEGNO DI PESCARA ‘CONFRONTO MFE-MONDO DELLA POLITICA. QUALI INIZIATIVE COMUNI PER LA FEDERAZIONE EUROPEA?’

di Antonio Longo

L’obiettivo va puntato sulle elezioni del 2014 che devono diventare il momento in cui nasce un governo democratico, frutto delle elezioni europee.

Perché ciò avvenga occorre che si confrontino schieramenti politici opposti su scala europea, con programmi alternativi. Ciò farà nascere un dibattito ed un’opinione pubblica europea. Quindi una lotta di potere per decidere che Europa ci deve essere. E’ questa lotta per un potere europeo il vero ‘federatore’.

L’indicazione, da parte dei federalisti, delle linee fondamentali di un programma di governo per l’Europa può costituire la base sulla quale costruire un primo dibattito tra le forze politiche, economiche, sociali e culturali d’Europa.

Il programma di governo per l’Europa si costruisce sulle contraddizioni che emergono dalla crisi.

1. Crisi del debito pubblico, in ultima analisi crisi fiscale dello Stato e della spesa pubblica.

L’aumento abnorme del debito pubblico nei nostri Paesi è conseguenza sia di una spesa pubblica centralizzata (quindi irresponsabile) a livello nazionale tesa a fronteggiare le richieste dei diversi livelli di governo locale, sia di una fiscalità anch’essa centralizzata a livello nazionale.

La risposta alla crisi del debito pubblico deve essere basata su una ristrutturazione della spesa e della fiscalità secondo i principi del federalismo multilivello (dal comune all’Europa), in cui a ciascun livello di potere vengono erogati beni pubblici determinati ed a ciascun livello viene attribuito un autonomo potere fiscale.

Occorre dire quali beni pubblici vanno erogati a livello europeo e con quali risorse vanno finanziati (ad esempio, riarticolando, anche solo in parte, l’imposizione fiscale sui cittadini per quote percentuali corrispondenti ai vari livelli di governo).

Si possono fare alcuni esempi. Ci pare prioritaria è la questione della sicurezza (politica estera e difesa esterna) che gestita a livello europeo sarebbe più efficace e meno costosa, determinando forti risparmi nella spesa pubblica.

Allo stesso modo, la questione dell’energia che, se gestita secondo un piano energetico e distributivo a livello europeo consentirebbe: a) forti risparmi a livello di rete; b) una differenziazione delle fonti energetiche applicabile su scala europea; c) il superamento dei dibattiti nazionali sul nucleare (che copre già circa il 15% del fabbisogno europeo); d) una posizione comune e più forte nei confronti dei paesi produttori.

L’individuazione e l’erogazione di beni pubblici europei, finanziati vuoi da quote di imposizione fiscale (detratte dai bilanci nazionali) vuoi da tasse ‘ad hoc’ (ad es.: carbon tax) alleggerirebbe il carico della spesa, avviando una progressiva e costante riduzione del debito nazionale.

2. Crisi dello sviluppo, cioè del modello economico-sociale postbellico.

L’Europa può uscire dalla bassa crescita degli ultimi decenni se trova un nuovo modello che abbia le caratteristiche dell’innovazione e della compatibilità con l’ambiente.

Gli investimenti in ricerca e sviluppo tecnologico, nel sapere e nelle energie altermative devono costituire l’asse centrale di una politica industriale europea.

Essi devono essere finanziati con l’emissione di e-bonds per programmi specifici su settori strategici, con la costituzione di ‘centri d’eccellenza’ a livello europeo.

Occorre individuare gli assi di una politica industriale europea.

 

3. Crisi sociale e generazionale, cioè di una crisi che è il sottoprodotto sia della crisi del debito (e, in tal caso, si manifesta come crisi del welfare), sia della crisi dello sviluppo (ed in tal caso si manifesta come crisi occupazionale).

La crisi sociale impone una ridefinizione del welfare, con l’indicazione di standard minimi a livello europeo, al fine di evitare politiche di dumping sociale, di delocalizzazioni selvagge, di guerre tra poveri.

La crisi occupazionale impone politiche atte a garantire un reddito minimo su scala europea.

Queste politiche sociali vanno finanziate attraverso un prelievo europeo dal sistema di tassazione nazionale o attraverso una tassazione ‘ad hoc’ (ad es.delle rendite finanziarie).

La conclusione è che oggi la battaglia per l’Europa si fa:

a) con l’individuazione di un programma di governo

b) con lo strumento del bilancio europeo, aumentato con la fiscalità europea e il ricorso al debito (e-bonds). La battaglia sul bilancio è importantissima perché è volta a dare all’Europa lele risorse per fare le politiche di cui la società europea ha bisogno, ma soprattutto è (dal punto di vista federalista) strategica perché mira a dislocare il potere ‘reale’ dal livello nazionale a quello europeo, creando la base materiale della battaglia per la ‘democrazia europea’ (no taxation without representation).

Tutto ciò è possibile perché si sta verificando una pre-condizione basilare. Malgrado le resistenze dei governi nazionali, la crisi sta producendo le prime forme di un governo economico: il ‘fondo europeo di stabilità finanziaria (che potrebbe evolvere verso un’agenzia federale del debito europeo) ed il ‘semestre europeo’ di controllo sulle varie finanziarie nazionali.

Siamo dunque in presenza della fine della separazione tra politica nazionale e politica europea. Ogni rilevante problema nazionale è anche un problema europeo ed ogni problema europe vincola la politica nazionale.

E’ giunta l’ora di affrontare i grandi temi che sono davanti all’Europa, non più come cose lontane ed argomenti per addetti ai lavori, ma come grandi questioni che stanno davanti alle forze che costituiscono la società europea.

E’ allora possibile prendere iniziative per spingere le forze politiche, economiche, sociali a confrontarsi per elaborare e chiedere programmi europei di governo.

I Movimenti devono mobilitarsi su questi obiettivi.

Le Convenzioni dei cittadini europei devono ‘costruire’ queste richieste.

 

 

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CONTRIBUTO AL CONVEGNO DI PESCARA ‘CONFRONTO MFE-MONDO DELLA POLITICA. QUALI INIZIATIVE COMUNI PER LA FEDERAZIONE EUROPEA?’

Pubblichiamo un primo contributo pervenutoci per il convegno-confronto di Pescara del 29-30 gennaio 2011

di Alcide Scarabino

Il Movimento Federalista Europeo ha sempre privilegiato l’azione di pressione e d’influenza sul ceto politico nazionale, caratterizzandosi come un movimento concentrato sull’ambito istituzionale. Solo molto di recente l’MFE ha mostrato di volersi aprire alla società civile e ai suoi numerosi movimenti e associazioni. Noi riteniamo che, senza abbandonare il nostro ambito tradizionale, l’MFE debba continuare su questa strada, di apertura e d’interlocuzione con quelle istanze di base con le quali possiamo costruire azioni comuni. Dialogare con altri, però, può essere proficuo per tutti solo se l’MFE è in grado di esprimere una posizione chiara e articolata su questioni diverse, senza limitarsi a sbandierare l’obiettivo finale della Federazione Europea. Naturalmente, per arrivare a questo i percorsi possibili sono più di uno. A tale proposito, noi proponiamo che l’MFE alzi la bandiera della cittadinanza e sollevi la questione dei “Diritti Civili dei Federalisti”. Cosa significa? Semplicemente, partire dal presupposto che un federalista si sente, prima che cittadino italiano, un cittadino europeo e, prima che cittadino europeo, un cittadino del mondo. In linea di principio, i federalisti hanno sempre sostenuto questo concetto. Quello che però è mancato è il trarre dalla petizione di principio tutte le sue conseguenze politiche e civili. In altre parole, se la nostra appartenenza al mondo e poi all’Europa prevale su quella nazionale, i federalisti dovrebbero rivendicare questa priorità in almeno tre ambiti che riguardano i loro diritti individuali in quanto persone cosmopolite:

1. CIVILE. Due esempi. A) Chiedere di svolgere il servizio militare non più solo nelle Forze Armate nazionali, ma anche nei piccoli nuclei militari integrati dell’Unione Europea e nei Caschi Blu delle Nazioni Unite. B) Nel volontariato, rafforzare il Servizio Civile Europeo eliminando il limite d’età che attualmente è fissato a 30 anni e promuovere un volontariato mondiale sotto l’egida delle agenzie dell’ONU competenti per settore.

2. POLITICO. Rivendicare il diritto di scegliere democraticamente le nostre rappresentanze nelle istituzioni internazionali, quali il FMI e la Banca Mondiale, ma soprattutto nelle Nazioni Unite e nelle sue agenzie specializzate. Qui il peso degli stati membri dovrebbe essere ponderato sulla base della popolazione e, in via subordinata, del PIL. Allo stato delle cose, rivendicare un “diritto di voto mondiale” avrebbe senso solo in secondo grado, cioè mediato dai nostri rappresentanti nazionali già eletti, visto il prevedibile scarso interesse della gente rispetto a una questione così apparentemente lontana dal loro quotidiano. A livello continentale, se questo è un dato acquisito per l’Unione Europea, è ancora molto lontano per l’Unione Africana o l’Organizzazione degli Stati Americani, e per tutte le aree di libero scambio, come il Mercosur o il Nafta.

3. FISCALE. Rivendicare il diritto all’opzione fiscale, chiedere cioè di poter versare una parte delle imposte dovute non più solo a destinatari nazionali, ma anche europei e mondiali. Una prima forma di opzione fiscale fu introdotta vent’anni fa con l’8 per mille, ma limitata solo all’ambito religioso. Seguì il 4 per mille da destinare a partiti e movimenti politici, che però non ebbe successo. Infine dal 2006 è stato introdotto il 5 per mille, che per sua natura meglio si presta a una richiesta di allargamento dei beneficiari all’ambito europeo e mondiale (viene confermato di anno in anno da un decreto collegato alla legge finanziaria e vede un ampio spettro di beneficiari, come le associazioni di volontariato e le Onlus, le associazioni di promozione sociale regionali e locali, associazioni e fondazioni riconosciute, gli enti di ricerca scientifica e dell’università). Come nuovi beneficiari, pensiamo ad organizzazioni private internazionalmente riconosciute, come Amnesty International, Médécins sans Frontières o Greenpeace, che attualmente possono essere sostenute solo individualmente. Un secondo esempio di opzione fiscale: chiedere di versare la quota d’imposta destinata alla difesa nazionale ai primi nuclei di Forze Armate europee e ai Caschi Blu dell’ONU (l’esperienza di riferimento è quella dell’obiezione fiscale alle spese militari attuata negli anni ’80 da gruppi pacifisti).

Sappiamo bene che, allo stato attuale, la base giuridica per un’azione politica volta a rivendicare concretamente i “Diritti Civili dei Federalisti” è inesistente o molto debole. Quello che conta, però, è il porli come obiettivo strategico, quindi di lungo termine, dell’azione federalista. In questo campo ci troveremmo in una fase analoga a quella delle prime rivendicazioni femministe e delle prime agitazioni operaie per il riconoscimento dei diritti dei lavoratori della fine dell’ 800. Affiancare all’azione di pressione politica quella della richiesta, del tutto nuova, dei Diritti Civili dei Federalisti potrebbe far fare al MFE quel salto di qualità di cui ha bisogno. L’MFE ha più o meno lo stesso numero di iscritti che aveva il Partito Radicale negli anni ’70, al momento della sua maggiore influenza politica, cioè circa tremila. I radicali ci hanno dimostrato, battendosi per l’allargamento dei diritti individuali, come anche una piccola forza possa incidere sulla coscienza collettiva. L’MFE dovrebbe muoversi nella stessa logica, ponendo però per la prima volta la questione dei diritti di cosmopolitismo, cioè dei diritti di chi si sente federalista.

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MOVIMENTO FEDERALISTA EUROPEO

Centri Regionali di Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Lazio e Puglia

IL PROGRAMMA AGGIORNATO

CONFRONTO MFE – MONDO DELLA POLITICA:

QUALI INIZIATIVE COMUNI PER LA FEDERAZIONE EUROPEA ?

Sabato 29 e Domenica 30 Gennaio 2011

Grand Hotel Adriatico, Montesilvano – PESCARA

Sab 29, ore 14: Registrazione dei partecipanti e saluti delle Autorità Un programma di governo per l’Europa” 

Antonio LONGO, Resp. Uff. Campagna MFE

 

Presentazione dei lavori 

Paolo ACUNZO, Vice Seg. Naz. MFE

 

TransEuropa Festival” 

Lorenzo MARSILI, European Alternatives

Europa e Mezzogiorno” 

Enzo AMENDOLA, Seg. PD Campania

 

Le iniziative dei federalisti in Europa” 

Guido MONTANI, Vice Pres. UEF

 

La protezione del lavoro in Europa” 

Grazia BORGNA, Dir. Naz. MFE

 

Osservatorio europeo” 

Roberto MUSACCHIO, Resp. Europa SEL

Il reddito minimo garantito” 

Papi BRONZINI, BIN – Italia

Le Primarie del Popolo europeo” 

Paolo ORIOLI, Comitato per le Primarie sempre

 

La formazione in Europa” 

Raimondo CAGIANO, Pres. CIFE

Il Movimento dei Movimenti” 

Roberto PALEA, Dir. Naz. MFE

 

Le Convenzioni dei cittadini europei” 

Virgilio DASTOLI, Pres. CIME

 

Una Scuola di politica europea” 

Stefano PIETROSANTI, Forum Nazionale Giovani

L’intergruppo federalista in Italia” 

Roberto DI GIOVAN PAOLO, Pres. Intergruppo

 

I Diritti civili dei Federalisti” 

Alcide SCARABINO, Uff. Campagna MFE – Roma

Un Congresso trans-frontaliero per il MFE” 

Ugo FERRUTA, Seg. MFE – Friuli Venezia Giulia

 

Bilancio europeo e sistemi contabili” 

Pierluigi SORTI, Ass. Innovatori europei

Il Gruppo Spinelli” 

Sandro GOZI, Resp. Europa PD

 

Cento città per la Federazione europea” 

Luisa TRUMELLINI, Dir. Naz. MFE

Le campagne sui cambiamenti climatici 

Maurizio GUBBIOTTI, Cord. Seg. LegAmbiente

 

Il debito ecologico tra Nord e Sud del mondo” 

Lamberto ZANETTI, Seg. MFE – Emilia Romagna

Una proposta federalista ai partiti” 

Francesco GUI, MFE – Lazio

Dom 30, ore 13: Conclusioni 

A cura del Comitato promotore: Paolo ACUNZO, Eliana CAPRETTI, Liliana DI GIACOMO, Damiana GUARASCIO e Lamberto ZANETTI

Formula del confronto: Ogni proposta di iniziativa sarà presentata da una relazione di dieci minuti a cui seguiranno interventi liberi dei partecipanti di circa cinque minuti. Il Comitato promotore curerà la redazione di un documento di sintesi del dibattito che verrà presentato al Congresso nazionale MFE (Gorizia, 11-13/03/2011).

La partecipazione è aperta a tutti gli interessati ed è possibile prenotare l’apposito pacchetto notte del sabato e pasti di sabato e domenica (€ 60 in singola; € 45 in doppia) contattando direttamente l’albergo: info@grandhoteladriatico.com Tel. 085.4452695 Fax 085.4683270 www.grandhoteladriatico.com

Per facilitare le prenotazioni utilizza  il form PRENOTAZIONE ALBERGHIERA 29-30 gennaio 2011-2 CLICCA QUI

Come raggiungere il Grand Hotel Adriatico-2 – CLICCA QUI

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Convenzione dei cittadini europei

Proseguono i lavori della Convenzione dei Cittadini Europei

Nell’ambito della Convenzione dei Cittadini Europei sui diritti collettivi e beni comuni, gli incontri di studio programmati per il 2011 sono i seguenti:

1. Il significato di “beni comuni” (giovedì 20 gennaio 2011, ore 14,30 -19)*

Negli ultimi tempi è emersa come questione cruciale per il futuro dell’umanità quella dei “beni comuni”: aria, acqua, clima, conoscenza, cultura e beni culturali, orbite satellitari, bande dell’etere, risorse minerarie dei fondi marini, biodiversità, ecc. Oggi la crisi economico-finanziaria manifesta una potenza distruttiva ma anche un potenziale di cambiamento che si riverberano entrambi direttamente sulla problematica dei “beni comuni” Del resto, se la crisi non è un incidente di percorso ma è crisi strutturale di un intero modello di sviluppo che con essa deflagra, solo i “beni comuni” potranno operare come bussola per il veicolamento produttivo degli avanzamenti della scienza e della tecnica, gli investimenti di lungo termine, la gamma di azioni richieste dalla messa in opera di un nuovo modello di sviluppo. La costruzione di un quadro di carattere generale sulle definizioni e sugli orientamenti del dibattito intorno ai “beni comuni”, materiali e immateriali, mostra che la produzione e riproduzione di questi beni, essenziali per l’ordine sociale, pone in questione l’intero assetto istituzionale e informale delle società: il rapporto con i “beni pubblici”, diritto naturale e diritto positivo, condizioni di produzione,  condizioni di escludibilità-rivalità. Non a caso le stesse costituzioni moderne mettono al loro centro la problematica dei “beni comuni”. I “beni comuni” rimandano alla questione del “legame sociale” e dell’erosione delle basi morali della società, incorporano il potenziale dello “sviluppo umano”, ripropongono interrogativi sui limiti della mercificazione e del primato del mercato. Occorre capire perché i conflitti globali riguardino oggi così intensamente i “beni comuni”, naturali e culturali, artificiali e virtuali. In gioco sono diritti fondamentali, costituzioni, contratto sociale, governance, qualità e dignità della vita umana e sociale

Relazioni: Carlo Donolo,  Maurizio Franzini,  Stefano Rodotà
Discussione
Coordina:  Laura Pennacchi

* Il primo incontro a carattere “introduttivo” non prevede il  “focus”.

2. La scoperta dei “beni comuni”(giovedì 24 febbraio 2011, ore 14,30 -19)

In quanto presupposti indispensabili della vita e della società umane i “beni comuni” sono sempre esistiti, ma non sempre si è avuta coscienza della loro essenza che risiede in primo luogo nell’essere “il limite” senza il quale si compie la “tragedia”. Mentre nelle società tradizionali questa coscienza era sancita religiosamente, nelle società moderne il limite è stato via via spostato per divenire infine evanescente sotto la spinta del meccanismo della crescita illimitata, trasformando il rischio cui sono esposti i beni comuni in un rischio sistematico, inerente cioè al sistema e al processo sociale. Il moderno paradigma asociale dell’homo oeconomicus ha sequestrato l’umana semantica del “bene”  nei ristretti confini della valorizzazione economica, della trasformazione di ogni aspetto della vita in oggetto della tecnica e della razionalità economica. Dal punto di vista analitico, la “scoperta” o la “riscoperta” dei beni comuni, ovvero una loro distinzione concettuale, si data ai primi studi di Garret Hardin (The Tragedy of the Commons in “Science”, 1968) che hanno avviato il dibattito contemporaneo, tuttavia ci sono numerosi e illustri antecedenti che si possono far risalire almeno fino alle idee di Hobbes sulla natura dell’ordine sociale. Un lungo itinerario nella storia dei saperi (filosofici, giuridici, economici, sociologici, politologici) che si arricchisce in corrispondenza con l’odierno incessante aggiornamento del dizionario dei “beni comuni”, materiali e immateriali, e della complessità dei loro nessi. La “scoperta” dei beni comuni ripropone, ad esempio, tutti i problemi classici delle costituzioni moderne, dalla questione del potere legittimo, a quello della cittadinanza, dai diritti dell’uomo e del cittadino alla loro estensione globale. La riflessione intorno ai  fondamenti culturali e ai paradigmi ermeneutici si propone oggi come costituiva  per la concettualizazione e l’analisi dei “beni comuni”.

Relazioni: Giacomo Marramao, Elena Pulcini
Focus: Alessandro Montebugnoli, “I nuovi orientamenti del capitale finanziario”
Discussione
Coordina: Gabriella Turnaturi

3. La tragedia dei “beni comuni” (giovedì 24 marzo 2011, ore 14,30-19)

Il tema dei “beni comuni” si è imposto nel dibattito pubblico nel momento stesso in cui si è presa coscienza della crescente violazione ed esauribilità di risorse vitali per la sopravvivenza delle generazioni viventi e future, dalla più evidente “tragedia” della  mercificazione ed esauribilità delle risorse naturali alla “tragedia” dei diritti collettivi negati. La crisi ambientale ha rappresentato il primo e fondamentale stimolo a elaborare la nozione di “bene comune”, in quanto tale sottratto alle logiche patrimoniali e di mercato che storicamente hanno condotto allo sfruttamento indiscriminato e alla devastazione delle risorse naturali e che ora, sotto le spoglie di una “valorizzazione” capace di “preservarle”, ne legittimano la privatizzazione. L’acqua, l’aria, il clima, la biodiversità sono diventati “beni comuni fondamentali” quando la parabola ottimistica dell’attuale modello di sviluppo è giunta a compimento, mostrando il “tragico” destino degli equilibri ecologici del pianeta. Oggi che le scarsità principali riguardano tempo, compagnia, comunità, la “tragedia dei commons” non ci appare più quella che ci è stata raccontata. Il problema della giustizia ambientale, del diritto all’accesso e al godimento universali di beni essenziali alla vita, chiama in causa le stesse basi morali e materiali della democrazia, la logica individualistica dei diritti e la dimensione nazionale della rappresentanza, quindi il senso di appartenenza comunitaria e di equità sociale e intergenerazionale, le politiche di tutela, offerta e redistribuzione delle risorse naturali e della ricchezza da loro derivante, la questione di un governo globale dei poteri economici sovranazionali.

Relazioni: Piero Bevilacqua, Luigi Ferrajoli
Focus: Ugo Mattei, “L’acqua e le privatizzazioni”
Discussione
Coordina: Catia Papa

4. La conoscenza come “bene comune” (giovedì 14 aprile 2011, ore 14,30-19)

La conoscenza è il principale motore delle moderne società il cui sviluppo dipende largamente dalla formazione, dalla ricerca, dalla diffusione dei saperi creativi e innovativi. La conoscenza è dunque una risorsa da condividere ed è un “bene comune” proprio in quanto costituisce un patrimonio collettivo soggetto a fenomeni di depauperamento e di esclusione. Nella società della conoscenza, in cui strumenti tecnologici sempre più potenti sembrano garantire infinite possibilità di trasmissione e di condivisione dei saperi, aumentano in modo preoccupante le forme di limitazione o di esclusione nell’accesso alle risorse. Norme sempre più restrittive sulla proprietà intellettuale, (cultural) digital divide, sovraccarichi cognitivi per eccessivi flussi di informazione, mancanza di risorse, sono solo alcuni dei  fattori che mettono a rischio lo stesso carattere di bene comune della conoscenza. La sua “sostenibilità”, la garanzia cioè di preservare e amplificare un sistema ecologico-sociale della conoscenza “utile”, comporta la definizione e la condivisione di nuove regole non più esclusivamente basate su modello della competizione e sulla valorizzazione economica. È necessario dunque ripensare la questione della proprietà intellettuale, il copyright, i brevetti; così come il ruolo svolto dalle infrastrutture e dalle istituzioni della conoscenza (scuole, università, biblioteche, archivi…), le forme di creazione, condivisione e conservazione digitale dei saperi. Garantire l’accesso alla conoscenza e la sua diffusione globale è una delle principali sfide a cui è chiamata oggi la democrazia.

Relazioni: Enzo Rullani, Giovanna Grignaffini
Focus: Fiorello Cortiana, “Internet e open source”
Discussione
Coordina:  Giancarlo Monina

5. Governare i “beni comuni” (giovedì 19 maggio 2011, ore 14,30-19)

Interrogarsi sulle istituzioni per i beni comuni significa risalire al contratto, il diritto privato, il diritto pubblico, la tassazione e gli altri tipi di risorse, l’impresa pubblica, l’impresa privata, l’impresa cooperativa. Significa anche riproporsi interrogativi sul rapporto tra “giusto” e “bene”, sui rapporti tra etica della giustizia e altre etiche, per esempio etica della “responsabilità” ed etica della “cura”. I “beni comuni” non pongono solo questioni di giustizia redistributiva ma anche di giustizia allocativa: l’asimmetria nell’accesso a beni essenziali, infatti, implica un’impasse del processo democratico e l’“incapacitazione” (la lesione delle capacità fondamentali) dei gruppi marginalizzati. Più specificamente: quale mix di politiche strutturali e di redistribuzione è richiesto dai “beni comuni”? Quale posto dare al paradigma delle “capacità” di Sen o a ipotesi di trasferimenti monetari generalizzati (tipo il “reddito di cittadinanza”, a cui molti sostengono si debba preferire il “lavoro di cittadinanza”)? Quali possono essere i vantaggi comparati delle diverse forme di impresa anche con riferimento alla rappresentanza e alla partecipazione dei diversi stakeholders? Ancora, come tenere conto, anche sul piano del disegno istituzionale, delle responsabilità nei confronti delle generazioni future? Infine, anche se solo a scopo esemplificativo, quali nuove sfide il governo dei beni comuni pone in termini di giustizia globale?

Relazioni: Edoardo Reviglio, Maria Rosaria Ferrarese
Focus: Giuliano Poletti, “La cooperativa di comunità come bene comune”
Discussione
Coordina:  Chiara Giorgi

6. “Beni comuni” e democrazia* (giovedì 23 giugno  2011, ore14,30-19)

Il mondo globale presenta caratteristiche a buon diritto definibili paradossali. Primo paradosso: la distribuzione dei redditi. Negli Usa, ad esempio, i dati disponibili ci dicono che, al netto della crisi, la reaganomics (egemone anche sui clintoniani) ce l’ha fatta a rimettere le lancette indietro di oltre 80 anni, riportando la geografia sociale dell’America a prima della Grande Depressione. I 300.000 americani più ricchi dichiarano un reddito pari a quello cumulato dai 150 milioni di statunitensi più poveri. Ciò significa che l’un per mille in cima alla scala dei redditi incassa quanto il 50% che sta in basso. Una disparità così non la si vedeva dal 1928. Non sbaglia dunque chi auspica un nuovo New Deal mondiale che, come accadde nel secondo dopoguerra, ancori la diffusione dei valori immateriali della libertà e della democrazia a concreti meccanismi di contenimento delle più eclatanti ingiustizie economiche. Con una importante differenza. Oggi è Internet il vero Palazzo di Vetro in cui far risuonare parole d’ordine capaci di colpire cuore e mente dei cittadini del mondo. Niente di questa realtà è scontato. La storia ci insegna che conoscenza e libertà non sono beni uguali alla terra e all’acqua, capaci di sopravvivere al regime di proprietà privata, bensì beni relazionali, che traggono cioè valore dall’arricchire le relazioni tra gli umani. A questo si allude quando si parla di effetto-rete: ogni nuovo ingresso arricchisce il tessuto connettivo, rendendo  più conveniente la partecipazione e così attirando nuovi membri. Come tutti i fenomeni nuovi, esso richiede nuove elaborazioni, oltre l’universalismo delle nostre pur venerabili Carte dei diritti. Nella società della conoscenza la sfera pubblica si ridefinisce, così come la cittadinanza territoriale e deterritorializzata, mentre emergono nuove forme di appartenenza e si affermano nuovi processi di democrazia deliberativa.

Relazioni: Luigi Bobbio, Nadia Urbinati, Pietro Costa
Discussione
Coordina: Gabriella Bonacchi

* L’ultimo incontro a carattere “conclusivo” non prevede il  “focus”.

Per informazioni, approfondimenti e adesioni:

www.diritticollettivi.eu

info@diritticollettivi.eu

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