di Paolo Acunzo
Questo congresso celebrativo del MFE cade in un momento particolare della vita politica italiana, a ridosso di elezioni che hanno regalato non poche sorprese. Infatti se era previsto la mancanza di referenti governativi a cui il MFE potesse rivolgersi per questo importante evento, visto lo stretto margine temporale che intercorre dalle elezioni, i risultati che ne sono scaturiti sono stati totalmente imprevedibili. Credo che anche il MFE debba ragionarci per definire la sua azione, essendo sintomo di una contesto sociale e politico completamente mutato, e non solo in Italia.
Partiamo da un primo dato: mai come in questa tornata elettorale i temi europei sono stati al centro del dibattito politico, seppur spesso eccessivamente semplificato e demagogico, e ha estremizzato le posizioni sul futuro dell’Europa in un modo forse eccessivo, ma che ci lascia ampio margine di azione. Infatti se è vero che le forze che proponevano “un’Italia europea” (quelle che si rifacevano alle candidature Bersani e Monti) inaspettatamente non hanno conseguito una chiara maggioranza, il fronte “euroscettico” interpretato diversamente dai candidati Berlusconi e Grillo hanno avuto gioco facile a far leva su pulsioni populiste e genericamente anti-austerity con slogan del tipo “mandiamoli tutti a casa” o tornare “padroni a casa nostra”.
Lo spazio che si apre per l’azione del MFE è immenso: ormai pare chiaro che all’italiano medio non basta più un generico europeismo, un processo d’integrazione calato dall’alto da pochi padri fondatori o spesso da decisioni prese in grigie stanze di Bruxelles o di Francoforte da poteri e interessi non meglio identificati. La risposta che serve più Europa, senza qualificarla, è giusta ma non è più sufficiente. Dunque non solo in Italia ci troviamo davanti al bivio di chi in un dibattito sull’Europa, presenti in tutte le arene nazionali, propone scorciatoie antistoriche come quelle dell’uscita dall’euro o dalla UE, e chi proponendo di andare verso una unione politica sempre più stretta non ha gli strumenti intellettuali, o il coraggio, di tracciare la via maestra verso la Federazione europea come unica possibile via d’uscita a questa crisi, che in primis è crisi della politica. Infatti come si pretende di governare una finanza che si muove con veloci click sull’intero scacchiere mondiale con una politica ancora fondata sulla sovranità nazionale e logorata da antichi riti alla lenta ricerca di compromessi intergovernativi che si rivelano per forza di cose insufficienti ?
Dunque il MFE ha una occasione storica. Quella di collocarsi in senso Gramsciano in posizione egemonica dal punto di vista culturale di quel vasto fronte consapevole che l’Europa intergovernativa ormai non regge più il passo dei tempi. L’esigenza di nuove forme di partecipazione democratica su scala continentali divengono indispensabili se non si vuole distruggere tutto ciò che è stato costruito dal dopoguerra in poi, ripiombando in un moderno medioevo. Ma per far ciò dopo 70 anni il MFE deve modificare in profondità la sua stessa natura e la sua capacità di azione, uscendo da stantii dibattiti interni e andando oltre ai classici riferimenti dei federalisti che agivano in un contesto internazionale di un’altra epoca, pure se questi si chiamino Albertini e Spinelli.
In primis non si può più pensare di rivolgersi agli attuali regnanti come se avessero ancora lo scettro del potere per volontà divina. Le cancellerie sono le prime a soffrire di una crisi di legittimazione democratica, dovuto ad un sempre più diffuso disinteresse dei cittadini nella politica, percepita sempre meno rilevante rispetto alle dinamiche globali dell’economia. Le attuali classi dirigenti sono considerati i principali responsabili di quei provvedimenti caduti dall’alto e invisi ai più, come il pareggio di bilancio o il Fiscal Compact, in quanto capaci solo di peggiorare la situazione nell’immediato, senza dare reali prospettive future di ripresa. Inoltre gli stessi governanti cadono spesso nell’errore di addossare le colpe a imposizioni di un’Europa lontana e maligna, che sono loro malgrado obbligati a subire, minando dalle fondamenta non solo la legittimità delle attuali istituzioni comunitarie, ma la loro stessa credibilità.
Dunque il MFE dovrebbe approfittare di questa crisi della politica nazionale e divenire il Federatore di tutte quelle forze ormai coscienti nella società contemporanea che solo il salto federale sarà in grado di realizzare la rivoluzione europea. Ma per far ciò il suo messaggio deve essere diretto, chiaro e radicale, non più mediato attraverso appelli a ipotetici potentati di turno, ma avendo come target direttamente la società civile organizzata e amplificandone l’azione grazie ad un uso attento dei moderni mezzi di comunicazione. Bisogna creare un consenso in favore della Federazione europea il più diffuso possibile nell’opinione pubblica, se veramente si vuole influenzare conseguentemente i decisori finali. E oggi con l’estremizzazione del dibattito politico sull’Europa qualsiasi forza politica ha la necessità di schierarsi da una parte o dall’altra per rendere credibile la sua proposta di cambiamento.
Ovviamente per far ciò il MFE deve cambiare anche il suo modo di agire. Non considerarsi custodi di una verità rivelata a pochi eletti, ma vivere a pieno il mondo che ci circonda, proponendo soluzioni federaliste a reali problemi e sporcandosi anche le mani con scelte di parte, se necessario. In questa ottica diventa essenziale la campagna lanciata dal MFE per l’ICE per un Piano di sviluppo sostenibile, per diversi motivi: è uno strumento che induce ad aprirsi all’esterno, creando alleanze anche con nuovi soggetti sociali; da risposte a problemi concreti quale la crisi economica, facendo entrare nel dibattito politico l’esigenza ormai non rinviabile di istituire un governo europeo dell’economia, con tutto quello che ne consegue; mette alla prova il grado di consenso che i federalisti riescono a raccogliere, uscendo da una pericolosa autoreferenzialità del movimento e obbligando, se si vuole raggiungere l’obiettivo del milione di firme, di innovare anche la propria comunicazione politica. Se poi la campagna dell’ICE entrasse nel vivo durante le prossime elezioni europee, potrebbe diventare uno spartiacque tra due visioni sociali contrapposte di Europa: la scorciatoia populista del ritorno alle piccole patrie Vs quella di ampio respiro di stampo federalista, correndo addirittura il rischio di dare forza popolare a quest’ultima nel nuovo Parlamento europeo.
In definitiva queste elezioni politiche segnano grandi opportunità per il MFE, che spero sapremo cogliere. Ma anche un grande rischio. Quello di rimanere sordi a questi segnali e di continuare a perpetrare una linea di supporto a quello che c’e’ o c’e’ stato, ossia ad una visione di un’Unità europea possibile solo se calata dall’alto, che invece di avvicinare i cittadini alla battaglia federale, li allontana. Per questo credo che nel contingente sarebbe deleterio sostenere qualsiasi nuova forma di governissimo in Italia, il quale dietro la scusa del “C’e’ lo chiede l’Europa” allontanerebbe ulteriormente l’opinione pubblica da quel diffuso europeismo che tradizionalmente caratterizzava il nostro paese. Ne abbiamo avuto la riprova proprio con queste elezioni, dove la stessa idea di un’Italia europea del governo uscente ha pagato proprio il suo mancato consenso democratico per delle scelte impopolari, seppur spesso necessarie.
Oggi il MFE spetta questo storico compito. Essere un punto di riferimento di tutti i federalisti europei, fuori e dentro il movimento, e creare quel consenso necessario intorno all’idea che un’altra Europa non è solo possibile, ma indispensabile se si vuole ridare speranza nel futuro alle nuove generazioni. La sfida è grande, ma è l’unica possibile se il MFE non vuole relegarsi definitivamente all’irrilevanza politica, invece di contribuire al raggiungimento di quel nobile obiettivo per cui è nato 70 anni fa: la costruzione degli Stati Uniti d’Europa.
Buon sfida a tutti noi.
Paolo Acunzo
Relazione alla Commissione “L’Italia e l’Unità europea”,
XXVI Congresso nazionale del Movimento Federalista Europeo,
Milano, 22 marzo 2013
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