Considerazioni alla vigilia del congresso del Mfe
Un patto fra antichi e nuovi federalisti
Aprire il Movimento ai movimenti
di Pietro Caruso
La lettura dei testi di Spoltore e Pistone mi hanno spinto ad esprimere alcune considerazioni sulla linea politica del Mfe e sul dibattito precongressuale a pochi giorni dall’appuntamento di Gorizia.
Il Mfe prende atto, nella mozione di politica generale, di mantenere alto il dibattito sul federalismo mondiale. Le tradizionali battaglie del presidente Lucio Levi, fatte proprie dal Movimento dopo un dibattito mai facile, sono diventate patrimonio collettivo di tutti.Per anni sappiamo che la storia della Uef e del Wfm sono corse parallele e, sul piano di molte azioni, è ancora così.
La relazione di Spoltore aggiorna le parole d’ordine di Alternativa Europea e le traduce, secondo uno schema organizzativo noto, ad una nuova campagna per la federazione europea capace di coinvolgere almeno 100 città. Spoltore ammette che da solo il Mfe (ma anche tutta la tradizionale forza federalista affine) non è in grado di raccogliere 1 milione di firme, neppure se coinvolgesse tutte le sezioni esistenti che formano l’Uef. E’ sicuramente un passo avanti perché cambia strategia. Non si parla più dei paesi fondatori che sono, allo stato delle cose, ridotti alla metà sul piano dei convincimenti potenzialmente alleati al federalismo europeo e ammette, senza annunciarlo esplicitamente, che le iniziative di stimolo verso le istituzioni tradizionali dell’istituzionalismo europeista come finora si è conosciuto sono meritevoli di azioni concrete del Movimento.
Pistone, con l’esperienza storica maturata nelle fasi di elaborazione dei documenti del Movimento è riuscito a sostenere, anche con ardite argomentazioni, come tenere insieme le iniziative del Movimento e la riflessione strategica che fu di tipo convenzionalista e ha pervaso per molti anni la linea politica di maggioranza del Mfe.
Perché allora un gruppo di militanti e di sezioni del Mfe sono inquiete, addirittura scontente? Non è forse vero che dopo anni di dissidi acuti e profondi il Mfe sta per riunificarsi? Non è forse vero che i contrasti si ricompongono? Cosa c’è per essere non felici? La questione è di natura politica più che personale. Riguarda come orientare la vita interna ed esterna del Mfe nel XXI secolo, a settanta anni dal Manifesto di Ventotene, a 68 anni dalla sua fondazione a Milano su impulsi di un gruppo di militanti politici provenienti da posizioni eretiche rispetto ai loro mondi ideali di provenienza, ma pur sempre ispirati da un approfondimento e sviluppo di pensiero che aveva visto Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi autori di prima grandezza ed Eugenio Colorni ispiratore di una riflessione filosofica, sulla natura dell’empirismo logico e del pensiero scientifico che servirà a quel mondo minoritario, ma pure esistente, che ha sempre diffidato della partizione a destra e a sinistra di Croce nella sua interpretazione dell’idealismo. Rintracciare nella storia tutte le pulsioni del primo gruppo dirigente del Mfe fra il 1943 e il 1948 ci aiuta a comprendere come il Movimento ha vissuto epoche tormentate, anche se non prive di grandi suggestioni per il futuro.
Altiero Spinelli è stata una personalità straordinaria, inimitabile, ma pur nel disegno improntato ad un titanico sforzo tattico e strategico resta il più importante simbolo che il Mfe può facilmente riconoscere a livello italiano ed europeo. Per certi versi assomiglia, con la dovuta differenza fra i secoli un incrocio di pensiero ed azione. Una sintesi, passatemi l’esempio non completamente centrato, fra Mazzini e Garibaldi. Il suo carattere personale non era certo amabile e non solo per i militanti del Mfe, ma è “l’Apostolo”.
Mario Albertini, tecnicamente, è il vero educatore e organizzatore del Movimento per trenta anni. Il Mfe è improntato sul suo modello di riferimento e di pensiero. La sua metodicità e la profondità del suo sapere filosofico politico, un vero inventore del modello federalista, è riuscito ad attrarre alcune centinaia di giovani militanti che, nel corso del tempo, ne hanno assunto in qualche modo la forma mentis, il modo di pensare, la cautela nell’agire. Questo Mfe è n stato culturalmente parlando soprattutto “Albertiniano” e i suoi migliori dirigenti nelle generazioni over-60 anni hanno costruito una sorta di “foedus”, di patto che ha anche l’ambizione, oserei dire l’utopia, di mantenere i tratti purissimi del Mfe secondo uno schema quasi antropologico: rigore intellettuale, sacrificio della persona, coerenza del militante, scelta di vita definitiva che investe anche la famiglia del militante o la sua ostinata solitudine. Ci sono le stimmate dei rivoluzionari professionali che non usano le bombe Orsini o il pugnale nelle mani, ma vivono questo rigore. Non è un caso che l’importante struttura del collegio Ghisleri (da me studiata negli annali storici dell’università italiana) ne assume un po’ il luogo ideale.
Non è il caos estivo di Ventotene la Betlemme di questo Mfe, nè l’ormai perduto luogo del primo raduno del Mfe a Milano…ma gli istituti studi che hanno conservato la memoria del Mfe sotto l’impronta albertiniana. Oggi tutta questa eredità da sola non basta al Mfe.
Il XXI secolo impone a tutto il Mfe di tentare un salto di qualità, almeno per come concepisco l’agire politico e la capacità del pensiero di aggiornarsi. Il Mfe non deve diventare un partito politico, non credo nemmeno se fosse il Partito federalista europeo, ma deve assumere alcune caratteristiche che lo rendano “primo fra i movimenti”. Per fare questo, inevitabilmente, deve ammalgamare quei militanti che hanno una militanza politica nei partiti, nei sindacati disposti però a mantenere una primazia al Mfe e alla sua carta dei valori. La purezza del Movimento non deve degenerare in una sorta di “Heimat” del federalisti storici contro i federalisti nuovi.
Fra le cause, non di ora, della crisi di adesione e di militanza del Mfe c’è quella di non procedere ad un ricambio dei gruppi dirigenti, dalle sezioni al Comitato centrale, dalla direzione alla Segreteria con innovazioni tali da rimescolare le certezze derivate dalla diuturna regola della militanza dalla quale, dopo un lungo corso di sacrifici e di onori, spunta un “primus inter pares” ma che in realtà è uno dei trenta storici militanti espressi dalle sezioni più forti. Forti per capacità e iniziativa, ma anche per tesoro. Da questo punto di vista, nella ristretta articolazione delle trafile dirigenti ha un senso preciso se da Verona torna a Pavia la guida della segreteria e se Torino mantiene la presidenza dopo una franca discussione al proprio interno.
Ma è una scelta che ritengo difensiva.
Avendo rinunciato alla tradizionale carriera partitica e anche a quella sindacale, per motivi agli amici più cari noti, non vivo la vita quotidiana del Movimento ma la seguo praticamente ogni giorni, avendo avuto modo con franchezza di dire al più autorevole dirigente del Movimento di ora penso che sia necessario prima di dare al voto ciò che è stato predeterminato un momento ultimo di riflessione.
Dove vogliamo portare, politicamente parlando in Italia e in Europa, questo Movimento? Lo vogliamo consumare in vista di un risultato che appare non vicino se non sorretto da una catastrofe economica, politica e sociale di immani proporzioni oppure vogliamo articolarlo come, per usare una vecchia e non del tutto felice espressione, renderlo “movimento di lotta e di programma, movimento di idee e di governo”? La candidatura alla segreteria del genovese Grossi, l’eventualità che nel caso di una non unanime condivisione sul suo nome venga avanti quella di Piero Graglia, docente formato alla scuola fiorentina di Gaetano Arfè e di Giovanni Spadolini, ha davvero l’aspetto di una provocazione per la storia del Movimento. Di una insanabile frattura o è un germe del cambiamento? Io non temo il mutamento specie per il compito immane che ha il Mfe davanti a sè.
E’ vero: sarebbe un paradosso se ritrovata l’unità con gli amici pavesi si apre un’altra frattura in un’altra parte del territorio di questo Movimento…e non credo neppure che se un gruppo di amici si chiamasse da parte si potrebbe parlare di una “Sinistra del Mfe”. Solo che il Movimento è a un bivio. O è capace di trovare una nuova sintesi fra “antichi” e “moderni” federalisti o di fronte ai fraintendimenti che si sta facendo soprattutto in Italia con il microfederalismo etnico leghista e xenofobo in Europa rischiamo di continuare le nostre dispute. Lo stesso tono dei nostri documenti risente di quella dimensione proclamatoria tradizionale, dove la vecchia distinzione fra teoria e prassi risente di una dimensione ideologica più hegeliana che kantiana.
Inoltre io credo che le riflessioni avanzate sui temi dell’ambientalismo nell’analisi teorica di Guido Montani, come completamento del bagaglio federalista; il dibattito mondialista di Levi; l’incessante lavoro di persuasione di Pier Virgilio Dastoli oggi presidente del Movimento Europeo verso le leadership dei partiti ma anche della presidenza della Repubblica siano parte del bagaglio del Mfe di cui andare orgogliosi.
Nuovi quadri stanno nascendo. Da noi in Emilia-Romagna ne abbiamo le prove viventi. Molte delle cose dette da Ballerin vale la pena considerarle parte della strategia del Movimento. Igino Poggiali è una certezza delle più moderne istituzioni culturali. L’attivismo di Lamberto Zanetti nella costituzione di nuove sezioni Mfe non è un problema del partito a cui ha aderito (per altro a quanto vedo non da solo) ma di un processo che è opposto a quello che taluni dirigenti e militanti temono. L’entrismo non lo fa il Pd o Sel, se mai è il contrario perchè a quanto mi consta nessuno dei militanti che io conosco vanno davanti ai segretari nazionali o regionali o di circolo con il cappello in mano o a prendere ordini. Se mai testardamente cercando di imporli o di essere considerati come eguali nello sforzo del mutamento della Storia.
Io non so cosa succederà a Gorizia e mi auguro che questo Mfe cresca, più di ora, sano e robusto.
So che cosa rischia il Movimento e non è come teme taluno…un’altra scissione della sua storia.
Temo che il Mfe si atrofizzi su se stesso. Concepisca la sua storia come la stanca celebrazione di un rito e non riesca, neppure, a porsi quell’obiettivo di trasferimento del proprio potere simbolico ad una nuova generazione di militanti. L’esempio del turn over in Gfe in questi ultimi dieci anni dovrebbe aiutarci a riflettere. Quanti sono i giovani federalisti europei che hanno abbandonato il Movimento?
I nostri tempi sono terribili, ma non possono obbligare alla costruzione degli “uomini di ferro”. La capacità di persuasione, formazione, studio e iniziativa di ogni singolo militante va aggiornata agli strumenti e le possibilità nelle quali vive. Abbiamo bisogni di risultati.
Questo deve fare un vero gruppo dirigente. Non solo aggiornare, con la misura del pendolo, il rigore della sua storia, ma riuscire a costruirla con il racconto, con l’azione, con l’entusiasmo dei piccoli e grandi cospiratori che agiscono per il bene collettivo.
So di non essere stato breve, ma questo Movimento la discussione sa che cosa è. Il fatto che avvenga sul Forum, forse, anche questo è un segno dei tempi.
Quanti sono gli interventi non “coerenti” e “politicamente non ortodossi” che il Movimento ha raccolto nel corso dei suoi congressi? Il timore di rendere cagionevole la sua purezza è già il sintomo di una inguaribile debolezza. Una leadership politica sa convincere, sa mediare, sa guidare. Buona fortuna dunque ai vecchi federalisti, se sapranno essere anche saggi, e in bocca al lupo per i coraggiosi e generosi nuovi federalisti. Il mio cuore e la mia mente sapete ora per chi parteggia.
Pietro Caruso
Presidente della sezione Mfe di Forlì “N. S. Bargossi”.
Forlì 3 marzo 2011.
Dal Forum MFE-GFE
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